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5. Marchi di qualità DOP e IGP come strumenti di valorizzazione dei prodotti

La questione relativa alla designazione d’origine dell’olio di oliva, nonché la sua specifica disciplina comunitaria e nazionale, si inserisce nel più ampio contesto normativo concernente le denominazioni DOP[1] e IGP[2].

La tutela delle qualità riconoscibili in un prodotto alimentare in ragione della provenienza da un determinato territorio o area geografica e del conseguente affidamento dei consumatori, continua a rappresentare una questione particolarmente complessa nell’intreccio tra fonti normative internazionali, comunitarie e nazionali[3].

Si tratta di contemperare due esigenze parzialmente contrastanti: quella attinente l’informazione e la tutela dei consumatori e l’altra, invece, che affonda le sue radici nell’istanza di libertà degli scambi commerciali che ha accompagnato l’intero processo di formazione dell’Unione europea.

La giurisprudenza della Corte di giustizia ritiene incompatibile con il mercato unico, ex art. 28 TFUE, la presunzione di qualità legata alla localizzazione geografica di tutto o parte del processo produttivo. La preoccupazione trova giustificazione nel fatto che connettendo l’apprezzamento qualitativo di un prodotto ad un determinato territorio  si potrebbe in concreto verificare il pericolo di limitare o comunque svantaggiare un analogo processo produttivo le cui fasi si svolgano in tutto o in parte in Paesi terzi, pertanto, per contrastare eventuali ripercussioni negative sul mercato sono state ammesse come uniche eccezioni a tale principio solamente le regole relative alle denominazioni di origine e alle indicazioni di provenienza.

Da un altro versante, è però vero che i consumatori dell’Unione avvertono sempre di più l’esigenza di tutelare la propria salute attraverso la scelta consapevole di alimenti di qualità e tali esigenze determinano una domanda di prodotti agricoli o alimentari con caratteristiche specifiche riconoscibili, in particolar modo per quanto riguarda quelle connesse all’origine geografica.

È proprio per far fronte a tali esigenze che il legislatore europeo ha disciplinato in modo dettagliato la valorizzazione delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche, circoscrivendo l’ambito di applicazione delle stesse ai soli prodotti per i quali esiste un legame intrinseco tra le caratteristiche del prodotto stesso e l’origine geografica. La protezione accordata a tali marchi di qualità, inoltre, persegue il duplice obiettivo di introdurre uno strumento concorrenziale utile ai produttori per la crescita economica di aree a vocazione agricola e, allo stesso tempo, assicura la diffusione di informazioni chiare sui prodotti che possiedono caratteristiche specifiche connesse all’origine geografica, permettendo in tal modo ai consumatori di effettuare scelte d’acquisto consapevoli.

La registrazione dei prodotti DOP e IGP avviene su iniziativa dei produttori dello Stato membro in cui si trova l’area geografica di produzione, i quali propongono un disciplinare di produzione contenente le caratteristiche del prodotto e le procedure di produzione e trasformazione che ne giustificano la tutela[4].

La domanda viene presentata allo Stato membro sul cui territorio è situata la zona geografica. Lo Stato interessato, dopo aver avviato una procedura nazionale che deve essere idonea a garantire un’adeguata pubblicizzazione della domanda, prevedendo un periodo di tempo ragionevole nel corso del quale chiunque abbia interesse possa fare opposizione, qualora decida di valutare positivamente la ricevibilità della domanda, perché corrispondente ai requisiti richiesti dal diritto comunitario, trasmette la domanda alla Commissione, che apre a sua volta una procedura al termine della quale provvede, in caso di accoglimento della domanda, alla pubblicazione del documento e del disciplinare nella gazzetta ufficiale dell’UE.

Da questo momento i produttori della zona che rispettino il disciplinare sono autorizzati a poter contrassegnare i loro prodotti con il segno DOP o IGP e con il rispettivo logo comunitario, avendo diritto ad accedere al sistema ufficiale di controllo che ogni Stato membro deve istituire per rendere possibile la sottoposizione dei produttori alla verifica del rispetto del disciplinare.

Per quanto riguarda la protezione accordata alle denominazioni di origine ed alle indicazioni geografiche, il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno adottato nel 2012 il regolamento sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (reg. n. 1151/2012) che ha sostituito i regolamenti 509 e 510 del 2006[5].

Le istituzioni comunitarie hanno deciso di potenziare lo strumento di protezione offerto dalle DOP e dalle IGP per tutelare e promuovere i prodotti agricoli ed alimentari di qualità[6]. Al fine di garantire l’effettività della tutela accordata alle denominazioni registrate è ovviamente richiesto un regime di controlli in grado di garantire non solo i diritti dei produttori ma anche quelli dei consumatori, in modo da assicurare ai primi condizioni di concorrenza leale ed ai secondi il diritto ad una corretta informazione. Per tale ragione i controlli devono verificare che i prodotti immessi sul mercato come DOP o IGP siano conformi a quanto prescritto nel corrispondente disciplinare di produzione e tali controlli devono riguardare tanto i prodotti realizzati entro la zona geografica indicata nel disciplinare quanto, e soprattutto, i prodotti provenienti da aree esterne a quella interessata per prevenire e reprimere i fenomeni di agganciamento della reputazione del segno registrato.

I punti chiave della normativa sono rinvenibili negli artt. 13 e 36 del reg. 1151/12. Il primo, dopo aver ripreso l’elenco delle pratiche non autorizzate stabilisce, al par. 3, che gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure amministrative e giudiziarie per prevenire o far cessare l’uso illegale di DOP e IGP prodotte o commercializzate sul proprio territorio[7]. Gli Stati membri dovranno attenersi alle prescrizioni della suddetta normativa sia nella designazione delle autorità incaricate dei controlli, sia nell’esecuzione degli stessi. Lo stesso articolo precisa, inoltre, che i controlli ufficiali comprendono il monitoraggio dell’uso delle dominazioni tutelate per designare prodotti immessi in commercio oltre alla verifica della conformità del prodotto al relativo disciplinare di produzione. I successivi articoli (artt. 38 e 45) prevedono, rispettivamente, che gli Stati membri procedano a verifiche in base ad un’analisi del rischio adottando le necessarie misure qualora riscontrino violazioni, e che i gruppi dei produttori possano contribuire al buon funzionamento del sistema di protezione e controllo istituito dal regolamento. In particolare, limitatamente ai propri prodotti, essi hanno la facoltà di monitorare l’uso delle denominazioni sul mercato e, in caso di violazioni, informare l’autorità competente[8].

La piena affermazione di una protezione ex officio per le DOP e IGP rende la disciplina in esame finalmente coerente con le finalità della politica di qualità già fissate dal legislatore del ‘92.

L’obbligo per gli Stati di verificare e reprimere le pratiche non autorizzate, a prescindere dalla provenienza geografica delle denominazioni, consente di realizzare una protezione uniforme su tutto il territorio dell’Unione, assicurando la protezione dei diritti di produttori e consumatori, oltre a garantire una maggior coerenza tra tale disciplina e l’azione esterna condotta dall’Unione per garantire una protezione internazionale alle indicazioni geografiche.

L’importanza di una disciplina uniforme ai fini di una effettiva tutela sia dei consumatori, sia dei produttori emerge chiaramente anche dal contesto normativo concernente l’etichettatura degli alimenti, in special modo per quando riguarda le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine[9].

Emerge chiaramente in tale ambito la volontà del legislatore europeo di tutela del contraente debole, soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione delle modalità di indicazione dell’origine dei prodotti essendo, quest’ultimo, destinatario di misure di riequilibrio al fine di fronteggiare tutti i possibili abusi che l’asimmetria informativa, intrinseca nel settore agroalimentare, può comportare.

Non vi è dubbio, infatti, che le indicazioni geografiche al pari dei marchi, costituiscano strumenti idonei a fornire al consumatore le informazioni relative alla qualità di un determinato prodotto, attenuando l’asimmetria informativa e contribuendo, allo stesso tempo, alla trasparenza del mercato.

L’etichetta, dunque, contenente tutte le informazioni rilevanti relative ad un determinato prodotto, ivi compresa l’indicazione dell’origine dello stesso, non assolve più l’esclusiva funzione di differenziazione dei vari prodotti ma diventa privilegiato strumento di informazione in grado di orientare consapevolmente le scelte dei consumatori sulla base della comparazione della qualità degli alimenti.

Per quanto riguarda specificamente l’olio di oliva, il primo intervento normativo a carattere nazionale in tema di indicazione dell’origine degli oli di oliva è rinvenibile nella legge 3 agosto 1998 n. 313, in materia di commercializzazione degli oli extravergine di oliva, degli oli di oliva vergine e degli oli di oliva che richiedeva l’indicazione in etichetta dell’origine al fine di garantire ai consumatori una scelta d’acquisto consapevole, ammettendo la dicitura “prodotto in Italia” solo qualora l’intero ciclo di raccolta, produzione e lavorazione fosse stato svolto sul territorio nazionale.

Tuttavia, a causa delle contestazioni mosse dalla Commissione europea, tale provvedimento non ha mai trovato applicazione e pochi mesi dopo è stato lo stesso legislatore europeo ad intervenire in materia con il regolamento CE 2815/1998, il quale introduceva la “facoltà” di indicare in etichetta l’origine dell’olio di oliva[10].

È soltanto con il regolamento 182 del 2009 che viene finalmente sancita l’obbligatorietà di tale informazione, al fine di garantire una effettiva tracciabilità del prodotto nonché una completa ed effettiva tutela del consumatore.

L’evoluzione delle esigenze dei consumatori orientati verso prodotti di particolare qualità, e la connessa necessità sempre più diffusa di essere sufficientemente e correttamente informati sulle caratteristiche possedute dal prodotto acquistato, hanno indotto infatti la legislazione di fonte europea  a rivedere le proprie posizioni sull’etichettatura dell’olio extra vergine di oliva e dell’olio di oliva vergine, ammettendo in un primo tempo un regime facoltativo di designazione dell’origine (Reg. (CE) n. 1019/2002), sostituito nel 2009 da un regime obbligatorio di indicazione in etichetta dell’origine dell’olio extra vergine e dell’olio vergine (Reg. (CE) n. 182/2009).

La regolamentazione dell’etichettatura dell’olio, a prescindere dalla specifica vicenda di settore che affonda le sue radici nell’introduzione della legge italiana 313 del 1998, sospesa dalla Commissione e sostituita dal regolamento CE 2815/1998, suscita particolare interesse soprattutto con riguardo alle soluzione normative elaborate a livello europeo per disciplinare l’indicazione dell’origine dell’olio d’oliva, offrendo importanti spunti di riflessione sulla questione relativa alle diverse funzioni che l’indicazione d’origine può svolgere.

L’etichettatura, infatti, soprattutto per quanto riguarda le indicazioni di origine, è chiamata a svolgere non soltanto una funzione di garanzia per quanto riguarda la trasparenza dell’informazione a tutela del consumatore ma anche una funzione di tutela della reputazione dei produttori, funzione resa difficoltosa, in materia di olio di oliva, dalle evidenti diversità che le caratteristiche del prodotto possono presentare a seconda dell’origine geografica ed alla complessità del processo produttivo.

A ciò si deve aggiungere l’innegabile intrinseca capacità, dell’indicazione di origine, di evocare nel consumatore ideali percezioni di qualità legate all’indicazione in etichetta di una determinata area geografica, percezioni idonee ad orientare la scelta del consumatore al fine della vittoria della concorrenza tra prodotti.

Inevitabilmente, ciò ha comportato una crescente attenzione del legislatore europeo al fine di regolamentare uniformemente il fenomeno in modo da contemperare le esigenze sottese ai diversi interessi coinvolti, stante la preoccupazione che l’indicazione dell’origine nazionale del prodotto si potesse trasformare in una valorizzazione indiretta del prodotto nazionale implicante un ostacolo alla libera circolazione delle merci.

Sebbene la scelta di avocare la competenza della regolamentazione a livello europeo abbia lasciato agli Stati membri un potere di intervento meramente residuale, si deve evidenziare come il processo di formazione della normativa in esame abbia preso avvio dalle istanze locali ed in particolar modo da una legge nazione che, sebbene sia rimasta priva di efficacia, ha di fatto dato avvio all’intervento europeo in materia di etichettatura di olio di oliva.

Questo è riscontrabile soprattutto nel contenuto definitorio dell’origine dato dal reg. 29/2012 il quale, prendendo atto delle istanze sollevate dagli operatori del settore, include sia il riferimento all’origine della produzione primaria sia alla localizzazione della trasformazione, considerando entrambe le indicazioni nel contenuto obbligatorio dell’etichettatura.

Proprio al fine di contemperare i diversi interessi in gioco, il reg. 29/2012 articola l’individuazione dell’origine dell’olio su diversi livelli a seconda della preminente funzione assegnata di volta in volta all’origine stessa. Il regolamento impone che solamente quando l’indicazione serva ad evitare distorsioni del corretto funzionamento del mercato l’ambito geografico di riferimento dell’etichettatura sia nazionale, mentre, al di fuori di tale ipotesi, tutte le indicazioni di origine diverse da quelle nazionali devono ricadere sotto l’ala dei segni distintivi comunitari DOP e IGP. Il legislatore comunitario ha ritenuto necessario riservare a tali strumenti di valorizzazione dei prodotti le designazioni di origine a livello regionale, con l’evidente finalità di evitare qualsiasi tipo di perturbazione del mercato.

Un ulteriore strumento di valorizzazione delle produzioni locali può essere infine garantito attraverso l’implementazione delle c.d. “strade” nell’ambito del fenomeno del turismo gastronomico, con l’obiettivo di diffondere la conoscenza dei prodotti di qualità (DOP, IGP, STG) direttamente da parte degli stessi imprenditori agricoli mediante degustazioni in loco.

[1] La Denominazione di Origine Protetta (DOP) è un marchio di qualità per prodotti agricoli o alimentari, le cui caratteristiche qualitative dipendono esclusivamente dal territorio. L’ambiente geografico di produzione, i fattori naturali e umani (comprese le tecniche di produzione e trasformazione) consentono di ottenere un prodotto unico e inimitabile. Si tratta di produzioni il cui intero ciclo produttivo, dalla materia prima al prodotto finito, sono svolte all’interno di un’area geografica determinata. La certificazione Dop è tutelata e protetta dalle contraffazioni su tutto il territorio dell’Unione Europea. L’olivicoltore la cui azienda si trova in un territorio che ha ottenuto questo riconoscimento e che intende commercializzare l’olio con il marchio Dop, deve attenersi ad uno specifico “disciplinare di produzione” e sottostare al controllo di un Ente di Certificazione indipendente e appositamente incaricato e riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Il disciplinare di produzione contiene tutte le norme di coltivazione dell’oliveto, di raccolta e confezionamento dell’olio che devono essere rigorosamente rispettate.

[2] L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) è il marchio di qualità che viene attribuito ai prodotti agricoli o alimentari per i quali una sola fase del processo produttivo ha un legame con la zona geografica di riferimento.

[3] Sulla disciplina delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette si veda A. Germanò, Corso di diritto agroalimentare, Torino, 2007, 155 ss.; L. Costato,Compendio di diritto alimentare, Padova, 2009; F. Albisinni,L’origine dei prodotti alimentari, Torino, 2005, 41; F. Capelli, La protezione giuridica dei prodotti agroalimentari di qualità e tipici in Italia e nell’Unione europea, in Dir. Comun. Scambi internaz., 2001, 177.

[4]. Per un approfondimento sul tema si vedano, tra gli altri: M. Conticelli, Il procedimento europeo di registrazione delle denominazioni di origine protetta, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, pag. 317, fasc. 2; G. Perone, Segni e denominazioni nel mercato agroalimentare, in Giust. civ., 2011, pag. 535, fasc. 12; M. Libertini, L’informazione sull’origine dei prodotti nella disciplina comunitaria, in Riv. dir. ind., 2010, pag. 289, fasc. 6; F. Gencarelli, I segni distintivi di qualità nel settore agroalimentare e le esigenze del diritto comunitario, in Dir. Un. Eur. 2005, pag. 75, fasc. 1.

[5] Si veda: I. Canfora, I disciplinari di produzione DOP e IGP: ripartizione di competenze tra Stati membri e organi comunitari, in Dir. giur. agr. amb. 2002, p. 20 ss.; M. Conticelli,Il procedimento europeo di registrazione delle denominazioni di origine protetta, in Riv. trim. dir. pub., n. 2, 2004, p. 317 ss.; G. Castelli, La protezione ex officio delle DOP e IGP dei prodotti agricoli ed alimentari, in Riv. dir. agr., 2013, I, p. 191 ss.

[6] La prima normativa in materia, ovvero il reg. 2081/92, nulla disponeva riguardo la tutela ex officio di tali segni distintivi. A colmare parzialmente la lacuna normativa concorreva l’art. 13 del predetto regolamento che però si limitava essenzialmente ad elencare le pratiche ritenute illecite, perché lesive del diritto di proprietà intellettuale di cui erano titolari i produttori legittimati all’uso della DOP o IGP a seguito della registrazione del segno in sede comunitaria. In particolare, era vietato ogni uso commerciale della denominazione tutelata per prodotti comparabili che non erano stato oggetto di registrazione, lo sfruttamento indebito della reputazione del segno, qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione e qualsiasi indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, alla natura o alle qualità essenziali del prodotto. Nel regime precedentemente vigente si richiedeva agli Stati membri di dotarsi di appropriate strutture di controllo con il compito di garantire che i prodotti recanti una denominazione registrata fossero conformi al disciplinare, tuttavia, le autorità avevano l’obbligo di far cessare le violazioni solo qualora l’illecito fosse commesso a danno di una denominazione registrata originaria dello stesso Stato membro. Veniva introdotto, dunque, un sistema di controllo non uniforme su tutto il territorio comunitario. Tale norma, infatti, creava una discriminazione tra le denominazioni registrate in quanto le autorità nazionali erano tenute a perseguire d’ufficio le sole violazioni che colpivano DOP o IGP originarie dello stesso Stato membro. Tale sistema avrebbe potuto generare la riemersione di frontiere nazionali con differenze di trattamento da uno Stato membro all’altro, poco coerente con l’introduzione di un mercato europeo unico. Tale regolamento è stato successivamente sostituito dal reg. 510/06, il quale ha introdotto due articoli distinti, rispettivamente l’art. 10 e l’art. 11, rubricati “controlli ufficiali” e “verifica del rispetto del disciplinare”. In base all’art. 10, spetta agli Stati membri designare l’autorità competente incaricata dei controlli, in relazione agli obblighi stabiliti dal regolamento, così da garantire controlli ufficiali periodici tenendo conto, in particolare, di qualsiasi informazione che possa indicare un’eventuale non conformità. Le misure che le autorità competenti possono adottare per indurre l’operatore a porre rimedio alla violazione vanno dal monitoraggio al richiamo o ritiro della merce, dal divieto di immettere sul mercato gli alimenti alla distruzione dei prodotti stessi. La competenza sanzionatoria rimane in capo agli Stati membri i quali sono soggetti ad un obbligo di previsione e di attuazione delle regole in materia di sanzioni affinché queste siano effettive, proporzionate e dissuasive. L’ultimo tassello in materia di protezione ex officio delle denominazioni di origine è rappresentato, come detto in precedenza,  dal reg. 1151/12 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari.

[7] La nuova versione dell’articolo 13 del regolamento 1151/2012 U.E. individua una protezione oltre che nei confronti delle forme di contraffazione più evidenti anche in tutti quei casi di “aggancio speculativo”, quale ad esempio, l’utilizzo di recipienti per il condizionamento che possano indurre il consumatore in errore sull’identità dell’alimento (cfr. art. 13 co. 1 lett. c), ed, infine, di qualunque altra pratica che possa ingenerare confusione sulla vera origine del prodotto (cfr. art. 13 co. 1 lett. d).

[8] L’articolo 45 del regolamento prevede che “(…) un gruppo può: a) contribuire a garantire che la qualità, la notorietà e l’autenticità dei propri prodotti sia garantita sul mercato monitorando l’uso del nome negli scambi commerciali e, se necessario, informando le autorità competenti di cui all’articolo 36 o qualsiasi altra autorità competente in applicazione dell’articolo 13, paragrafo 3; b) adottare provvedimenti intesi a garantire una protezione giuridica adeguata della denominazione di origine protetta o dell’indicazione geografica protetta e dei diritti di proprietà intellettuale ad esse direttamente collegati; c) sviluppare attività di informazione e di promozione miranti a comunicare ai consumatori le proprietà che conferiscono valore aggiunto ai prodotti; d) sviluppare attività miranti a garantire la conformità dei prodotti al loro disciplinare; e) adottare provvedimenti volti a migliorare l’efficacia del regime, quali lo sviluppo di competenze economiche, lo svolgimento di analisi economiche, la diffusione di informazioni economiche sul regime e la fornitura di consulenza ai produttori; f) adottare misure per la valorizzazione dei prodotti e, se necessario, adottare provvedimenti volti a impedire o contrastare misure che sono o rischiano di essere svalorizzanti per l’immagine dei prodotti”.

[9] È stato anzitutto osservato che l’introduzione di una regolamentazione comune sui toponimi rispondeva all’esigenza di rafforzarne la tutela in chiave privatistica per la diffusione nei diversi Stati membri di modelli fra loro assai diversi di riconoscimento e protezione. Cfr.: A. Jannarelli, La circolazione dei prodotti agricoli nella CEE: dal principio del mutuo riconoscimento alla tutela della qualità, in Riv. dir. agr., 1992, I, p. 36 ss.; L. Costato, La protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine e le attestazioni di specificità, in Riv. dir. agr., 1995, p. 488 ss.

[10]In dottrina si veda F. Albisinni, La Commissione europea e l’etichettatura dell’olio di oliva, in Dir. Agr., 1998, p. 465; Id., Ma l’Europa è dalla parte dei consumatori? Il caso della legge sull’etichettatura dell’olio di oliva, in Dir. giur. agr. amb., 1999, p. 73; Id., Lavar la testa all’asino o la designazione d’origine dell’olio di oliva vergine ed extravergine, in Riv. dir. agr., 20